Incontriamo il Dott. Alberto Mazza, Professore a contratto in Medicina Cardiovascolare dell’Università di Padova e Direttore del Centro per la lotta contro l’Ipertensione Arteriosa Accreditato Nazionale dalla Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA), esperto di malattie cardiovascolari. Il Dott. Mazza, che lavora all’Ospedale di Rovigo, ci spiega i meccanismi attraverso i quali l’ipertrigliceridemia aumenta il rischio di incorrere in malattie cardiovascolari e cosa fare per prevenirle.
 

Dottore, come si inquadra l’ipertrigliceridemia e quanto è diffusa?

La presenza di valori di trigliceridi elevati nel sangue, nota come ipertrigliceridemia è una condizione abbastanza frequente, tanto che ne soffre circa il 30% della popolazione e il cui approccio clinico non sempre risulta facile e lineare.
Nell’ipertrigliceridemia di primo riscontro occorre verificare le condizioni pre-esistenti al prelievo di sangue, in particolare ponendo attenzione alla relazione temporale tra prelievo e pasto e le caratteristiche qualitative del pasto. Dopo l’assunzione di cibo, i trigliceridi restano elevati nel sangue per almeno 8 ore e in questo arco di tempo il valore rilevato non rappresenta il valore normale di riferimento del paziente, tanto che la valutazione del profilo lipidico va eseguita in condizioni di digiuno da almeno 12 ore.
L’ipertrigliceridemia è una condizione abbastanza frequente, tanto che ne soffre circa il 30% della popolazione.

Di che tipo sono i trigliceridi dosati dal test e quali sono dannosi alle nostre arterie?

Il test di laboratorio misura quantitativamente i trigliceridi, ma non specifica le lipoproteine che li contengono e che sono diversamente aterogene. I trigliceridi dosati dopo il pasto normale o dopo un pasto ricco di grassi sono per oltre il 90% caratterizzati da chilomicroni, che tuttavia provocano minori danni alla parete delle arterie rispetto a quello delle lipoproteine a densità molto bassa note anche come VLDL, dall’inglese very low density lipoproteins. Le VLDL, in quanto espressione della quota endogena di trigliceridi secreta dal fegato, predominano dopo un periodo di digiuno di diverse ore. Una volta in circolo, le VLDL, sono modificate dalla lipoproteinlipasi (LPL) in particelle più piccole chiamate IDL, dall’inglese intermediate density lipoproteins che a loro volta sono trasformate dalla LPL e dalla lipasi endoteliale in LDL, dall’inglese low density lipoprotein più piccole e dense e ricche di “colesterolo cattivo” che rovina la parete delle arterie.

 

Qual è la prevalenza dell’ipertrigliceridemia? Perché si parla di primaria e secondaria?

In Italia, la prevalenza di ipertrigliceridemia (ITG), definita per valori di trigliceridi (T) sierici >150 mg/dL (o >1.7 mmol/L) è di circa il 30%. L’ipertrigliceridemia è considerata primaria se consegue a rari difetti genetici che determinano un alterato metabolismo dei trigliceridi, ma nella pratica clinica l’ITG è spesso secondaria a diete ricche di grassi saturi, obesità, diabete, ipotiroidismo, insufficienza renale cronica con proteinuria (presenza di proteine nell’urina), abuso alcolico ed alcuni farmaci.

 

Ci spiega perché i trigliceridi alti sono considerati un fattore di rischio cardiovascolare?

È ormai assodato che l’ipertrigliceridemia (ITG) rappresenta un fattore di rischio indipendente per malattie cardiovascolari e coronariche1, seppure meno evidente rispetto all’ipercolesterolemia2,3. Questo significa che l’ITG da sola aumenta il rischio, in quanto è indipendente da altri cofattori spesso presenti nell’ipertrigliceridemia, come l’ipertensione ed il diabete.
In particolare, un maggiore rischio cardiovascolare (CVS) si osserva nell’ITG lieve (T tra 150-199 mg/dl o 1.7-2.2 mmol/L) e moderata (T tra 200-499 mg/dl o 2.3-5.6 mmol/L) anziché nelle forme gravi (T ≥500 mg/dL o ≥ 5.7 mmol/L) in quanto queste sono maggiormente associate al rischio di pancreatite acuta (in particolare per T >900 mg/dl o 10 mmol/L). La pancreatite acuta è un’infiammazione del pancreas ad insorgenza improvvisa. Presenta uno spettro di gravità molto ampio, che va da forme lievi, che si risolvono in pochi giorni, a forme gravi, che possono essere anche mortali.
Nelle maggiori linee guida internazionali sulla gestione delll’ITG4-7, in soggetti adulti si raccomanda il dosaggio dei trigliceridi almeno ogni 5 anni. Tuttavia spesso l’ITG si associa a bassi livelli del colesterolo cosiddetto “buono”, cioè quello trasportato nel sangue dalle lipoproteine ad alta densità HDL (dall’inglese High Density Lipoproteins), tanto che si raccomanda anche la valutazione dell’assetto lipidico.

 

Cosa bisogna fare per trattare i trigliceridi alti?

Per quanto concerne il trattamento dell’ITG, la dieta, basata sulla
  • restrizione assoluta dell’assunzione di alcool
  • riduzione del consumo di carboidrati aggiuntivi
  • riduzione del consumo di fruttosio e di acidi grassi a catena lunga di origine sia animale che vegetale contenuti per esempio in carni rosse, insaccati, burro e formaggi grassi,
e l’attività fisica, sono la chiave per il trattamento dei pazienti con forme lievi-moderate di ITG.

In particolare, si raccomanda la riduzione del 5% del peso corporeo che può determinare un calo dei trigliceridi del 20% e di limitare i carboidrati al 50-60% dell’apporto calorico giornaliero.
Al contrario l’uso di farmaci dovrebbe essere preso in considerazione per valori di T > 200 mg/dL che persistono al tentativo di modifica dello stile di vita.
I trattamenti farmacologici disponibili per il trattamento dell’ipertrigliceridemia sono le statine, i fibrati, l’acido nicotinico, gli acidi grassi Omega-3, prevalentemente in monoterapia ma anche in combinazione in casi selezionati.
Le statine, essendo efficaci sia in prevenzione primaria che secondaria sulla riduzione della morbilità (la sua frequenza nella popolazione) e della mortalità cardiovascolare (CVS) sono considerate i farmaci di prima scelta per ridurre sia il rischio CVS globale che livelli moderatamente elevati di trigliceridi.
I fibrati si sono dimostrati efficaci nel ridurre del 13-15% gli eventi cardiovascolari maggiori e per questo sono raccomandati. L’acido nicotinico (AN), alla dose di 2g al giorno può determinare una riduzione dei trigliceridi del 20-40%, ma vi sono poche evidenze in studi clinici randomizzati a causa dei frequenti effetti avversi (reazioni cutanee), che spesso ne impediscono l’incremento posologico.

 

Come agiscono gli Omega-3 e perché sono raccomandati?

Gli acidi grassi Omega-3, per essere efficaci devo essere somministrati a dosi elevate di 2-4 g al giorno e poiché determinano una riduzione dei trigliceridi fino al 30% sono raccomandati in aggiunta alla dieta per livelli di trigliceridi nel sangue > di 500 mg/dL e con rimborsabilità sulla base della Nota 13. E’ tuttavia necessario che gli Omega-3, anche se a basso costo rispetto alla media abbiano un contenuto di acido eicosapentaenoico (EPA) e di acido docosaesaenoico (DHA) non inferiore all’85%.
Infatti l’EPA e il DHA sono i più importanti acidi grassi Omega-3 presenti in natura e oltre ad essere attivi sui trigliceridi, svolgono altre importanti attività strutturali e funzionali sulle cellule dell’organismo. Diventa quindi necessario che le loro concentrazioni siano elevate (non meno dell’85%) per essere efficaci.

 

Per il trattamento dell’ipertrigliceridemia si parla spesso di terapia combinata, ci spiega in cosa consiste?

Alcuni studi clinici hanno inoltre dimostrato che la combinazione di una statina + fibrato (in particolare fenofibrato o bezafibrato) oltre a determinare una riduzione significativa dei trigliceridi e un aumento del colesterolo-HDL “buono” (HDL-C), tanto da essere raccomandati nella gestione della dislipidemia aterogena combinata tipica dei pazienti con sindrome metabolica e/o diabete. La dislipidemia aterogena è una condizione caratterizzata dalla contemporanea presenza di elevati valori di trigliceridi e bassi valori di HDL colesterolo e che aumenta il rischio di malattie cardio- e cerebrovascolari come l’infarto miocardico e l’ictus cerebrale.
La Nota 13 prevede il rimborso da parte del sistema sanitario nazionale del costo dei fibrati in associazione alla terapia con statina (che è raccomandato associare solo con il fenofibrato, e mai il gemfibrozil) in caso di persistente ITG o bassi livelli di HDL-C.

La combinazione di acido nicotinico (AN) con dosi moderate di statina fornisce un aumento significativamente migliore dell’HDL-C e una miglior diminuzione dei trigliceridi, rispetto a una dose elevata di una statina o alla combinazione di ezetimibe e statina.
Il ruolo di tale combinazione è stato recentemente confermato in uno studio italiano i cui risultati sono apparsi sull’American Journal of Cardiology8, dove in soggetti con ipertrigliceridemia ad elevato rischio CVS per coronaropatia angiograficamente documentata, la combinazione AN + statina o ad una resina sequestrante gli acidi biliari aumenta l’HDL-C e diminuisce le lipoproteine ricche in LDL ed i trigliceridi quali le IDL e le VLDL. In particolare, l’uso di suddetta combinazione ha determinato oltre al miglioramento della stenosi coronarica condizione caratterizzata da restringimento delle arterie coronarie che sono i due vasi sanguigni destinati all’irrorazione del cuore, anche una riduzione degli eventi coronarici conseguente alla riduzione del colesterolo contenuto nelle LDL dense e nelle IDL.
Il livello ottimale di trigliceridi da ottenere con la terapia ipolipemizzante non è ancora stato definito, ma gli obiettivi terapeutici per i pazienti con ipertrigliceridemia si basano sulla valutazione del colesterolo non-HDL. Con quanto proposto dal recente NCEP-ATP IV (dall’inglese National Cholesterol Education Program – Adult Treatment Plan IV9) nei soggetti con ipertrigliceridemia il target del colesterolo non-HDL sono: <130 mg/dl per i soggetti con cardiopatia ischemica (CHD) o con un rischio di CHD a 10 anni >20%; <160 mg/dl in presenza di più di 2 fattori di rischio e con un rischio a 10 anni ≤20%; e <190 mg/dl per gli individui con 0-1 fattore di rischio.

 

Riferimenti Bibliografici
  1. Mazza A, Tikhonoff V, Schiavon L et al. Triglycerides + high-density-lipoprotein-cholesterol dyslipidaemia, a coronary risk factor in elderly women: the CArdiovascular STudy in the ELderly. Intern Med J 2005;35:604-10.
  2. Casiglia E, Mazza A, Tikhonoff V et al. Total cholesterol and mortality in the elderly. J Intern Med 2003;254:353-62.
  3. Tikhonoff V, Casiglia E, Mazza A et al. Low-density lipoprotein cholesterol and mortality in older people. J Am Geriatr Soc 2005;53:2159-64.
  4. Berglund L, Brunzell JD, Goldberg AC et al. Evaluation and treatment of hypertriglyceridemia: an Endocrine Society clinical practice guideline. J Clin Endocrinol Metab 2012;97: 2969-2989.
  5. Jellinger PS, Smith DA, Mehta AE et al. American Association of Clinical Endocrinologists’ Guidelines for Management of Dyslipidemia and Prevention of Atherosclerosis. Endocr Pract 2012;18 Suppl 1:1-78.
  6. Catapano AL, Reiner Z, De Backer G et al. ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias The Task Force for the management of dyslipidaemias of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Atherosclerosis Society (EAS). Atherosclerosis 2011;217:3-46.
  7. Miller M, Stone NJ, Ballantyne C et al. Triglycerides and Cardiovascular Disease: A Scientific Statement from the American Heart Association. Circulation 2011; 123: 2292-2333.
  8. Zambon A, Zhao XQ, Brown BG, et al. Effects of Niacin Combination Therapy with Statin or Bile-Acid Resin on Lipoproteins and Cardiovascular Disease. Am J Cardiol 2014. 11:1494-8.
  9. Stone NJ, Robinson J, Lichtenstein AH, et al. 2013 ACC/AHA Guideline on the Treatment of Blood Cholesterol to Reduce Atherosclerotic Cardiovascular Risk in Adults: A Report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines. J Am Coll Cardiol 2014;63:3024-3025.
Ultimo aggiornamento: 16/12/2016